In principio fu Eliza. Un sistema ideato nel 1966 dall’informatico tedesco Joseph Weizenbaum per simulare la conversazione umana – nello specifico, la macchina doveva imitare l’interazione di uno psicoterapeuta di matrice rogersiana con un soggetto: insomma, era nato il primo chatbot della storia, diretto progenitore di quella moderna AI che ormai ci ritroviamo “intorno” quasi tutti i giorni.
Ma l’intelligenza artificiale affonda le sue radici più indietro nel passato, negli studi sulla teoria computazionale del matematico Alan Turing che iniziarono a diffondersi già a metà degli anni ‘30 del secolo scorso. Fu proprio Turing nel 1936 a introdurre l’idea di un modello matematico computazionale (la cosiddetta Macchina di Turing), una macchina astratta che manipola, ossia legge e scrive, i dati contenuti su un nastro di lunghezza potenzialmente infinita, secondo un insieme di regole prefissate.
Da qui, poi, nel 1950 Turing propose quello che è universalmente conosciuto come il “Gioco dell’imitazione”, ancora oggi utilizzato seppur con integrazioni, per valutare la capacità dei sistemi di intelligenza artificiale di simulare il funzionamento della mente umana. Il gioco inventato da Turing prevede tre soggetti: A e B (due persone di sesso opposto) e C (l’esaminatore), che può comunicare con entrambi ma senza poterli vedere. Con che frequenza C riesce a distinguere A da B? A questo punto, viene posta la domanda fondamentale: Che cosa succederebbe se una macchina sostituisse A? L’esaminatore sbaglierebbe con la stessa frequenza?
Turing, a proposito del test, fece un’affermazione che rimase nella storia: “Credo che entro cinquant’anni sarà possibile programmare macchine in grado di partecipare al Gioco dell’imitazione così bene che un interrogante medio non avrà più del 70% di possibilità di operare la corretta identificazione dopo cinque minuti di domande”. Questa, in effetti, è diventata nel tempo la modalità ufficiale per somministrare il test di Turing e il limite fissato per considerarlo superato o meno.
Nel 2014 Eugene, un chatbot progettato per sembrare un adolescente ucraino, è stato la prima macchina a superare il test di Turing convincendo il 33% dei giudici di essere umano.
Sono passati oltre dieci anni da allora e la penultima versione del bot di OpenAI, ChatGPT-4, nel 2024 ha superato per la prima volta una versione adattata del test di Turing, mostrando tratti della personalità sovrapponibili a quelli umani.
Per alcuni studiosi, l’intelligenza artificiale si è evoluta ormai così tanto che il test di Turing non sarebbe più adatto allo scopo per cui è stato creato: il test, infatti, valuta solo l’output dell’AI e non la sua capacità reale di comprendere, interiorizzare i concetti o produrne di nuovi. Siamo di fronte, quindi, a un’intelligenza artificiale sempre più pervasiva e performante, con la quale grandi e piccoli devono per forza iniziare a fare i conti, e non solo sul lavoro o a scuola, ma anche nei contesti famigliari, amicali o sentimentali.
Così, capita ad esempio a noi genitori di sperimentare una situazione impensabile solo qualche anno fa: i nostri bambini e ragazzi, invece di andare a giocare al parco con i loro coetanei, a volte preferiscono rimanere a casa in compagnia di amici virtuali, che nella realtà non esistono… amici immaginari, ma non fatti di fantasia e ricordi, come quelli che aiutavano noi quando eravamo piccoli a far passare il tempo durante i momenti di noia o a tenere a bada le paure della notte. Piuttosto, dei chatbot AI, con i quali i nostri figli possono fare conversazioni interattive, studiare e ripassare materie di scuola, imparare nuove lingue e intrattenersi in vario modo.
Fin qui, tutto molto interessante, perché con l’intelligenza artificiale le opportunità di apprendimento e di svago si moltiplicano. Però c'è un fatto: i nostri bambini e ragazzi stanno sempre più da soli, isolati dietro uno schermo. Andiamo verso un mondo in cui i giovani socializzano pochissimo. E se la socializzazione, soprattutto in età adolescenziale, è cruciale per un corretto sviluppo psicoemotivo, significa forse che alla generazione Alfa e a quelle che verranno in futuro mancherà un pezzo fondamentale di crescita? Come si fa allora, da genitori, a non preoccuparsi?
C’è anche un altro rischio che si profila all’orizzonte. In alcuni casi, i nostri figli arrivano addirittura a sviluppare una dipendenza (o meglio… un attaccamento emotivo) verso questi nuovi “amici” e finiscono per affezionarsi a entità virtuali che non possono, per loro stessa natura, offrire alcuna reciprocità emotiva.
Un chatbot non ha dei sentimenti. Per quanto sia in grado di mostrare dei tratti di personalità umani, imitandoli al punto tale da essere scambiato per uno di noi, non prova emozioni.
Il next step su cui stanno lavorando gli scienziati dell’AI è la possibilità per i sistemi intelligenti di sviluppare una coscienza artificiale, intesa come consapevolezza di sé: in pratica, la capacità di rendersi conto di quello che succede al proprio interno (introspezione) e di automonitorarsi, per indirizzarsi a vantaggio della società. Il tema della coscienza delle macchine, pertanto, contiene in sé anche dei risvolti etici.
Tuttavia, è bene ribadirlo, a meno di non ipotizzare degli scenari apocalittici che poco hanno a che fare con la realtà, un chatbot non sarà mai senziente, cioè in grado di provare delle sensazioni come il piacere o il dolore, che sono alla base delle emozioni e dei sentimenti.
Che cosa possiamo fare allora come genitori? Demonizzare la tecnologia e impedire ai nostri bambini e ragazzi di utilizzarla? Assolutamente no, anche perché non ci ascolterebbero e noi ci ritroveremmo soltanto invischiati in una battaglia quotidiana fatta di discussioni e frustrazioni reciproche…
Dobbiamo però spiegare ai nostri bambini e ragazzi che gli amici non si trovano attraverso uno schermo, sia esso di uno smartphone o di un computer. Gli amici possono esistere solo in carne e ossa.
E' difficile trovare un amico vero, a volte anche mantenerlo, ma di certo il nostro amico ci renderà più felici del miglior chatbot AI che potrà mai essere inventato.