ADOLESCENCE - Di Marta Baschirotto
Sin dalla sua uscita nel marzo scorso, si è parlato e discusso molto della miniserie di Netflix “Adolescence”, e non solo per la tecnica di ripresa decisamente fuori dai canoni tradizionali delle serie televisive. Opinionisti, giornalisti e specialisti di vario genere si sono cimentati soprattutto nell’analizzare le motivazioni del gesto traumatico e sconvolgente, ma purtroppo verosimile, compiuto dal protagonista.
La storia ormai è nota (nessun pericolo di spoiler) e riguarda l’improvviso arresto di un ragazzo di 13 anni, Jamie Miller, accusato di aver ferito a morte con un coltello una compagna di scuola la sera precedente. Una telecamera posta nei pressi del luogo dell’accaduto ha ripreso il fatto e l’arresto è inevitabile. La serie si sviluppa in soli quattro episodi, ciascuno dei quali approfondisce un aspetto della narrazione: il giorno dell’arresto, la visita degli ispettori di polizia a scuola nei giorni successivi, il colloquio di Jamie con la psicologa all’interno della struttura penitenziaria in cui si trova, la famiglia (padre, madre e sorella) il giorno del cinquantesimo compleanno del papà, alla vigilia dell’atteso processo giudiziario.
La domanda che ci accompagna e ci scuote è: come è possibile un gesto così violento in un ragazzo tanto giovane, cresciuto in una famiglia imperfetta a modo suo, come tutte, e comunque affettiva e stabile?
Purtroppo, fatti simili stanno accadendo veramente intorno a noi: una notizia di questi giorni riguarda un quindicenne di Nantes, in Francia, che ha portato a scuola un paio di coltelli minacciando diversi coetanei… alla fine, una ragazza ha perso la vita.
In Adolescence, alcuni tra i fattori che hanno scatenato il gesto del ragazzo si intuiscono abbastanza chiaramente e vanno a gravitare anche sul mondo degli adulti. Si evince ad esempio come Jamie trascorresse molto tempo, forse troppo tempo, chiuso nella propria stanza e collegato alla rete. Il paradosso è che i genitori lo consideravano “al sicuro” in camera sua. Dai suoi profili social sono invece emersi abissi impercettibili al mondo reale: prese in giro in chat su tematiche delicate riguardanti la sessualità che rasentano il cyberbullismo. In particolare, nella miniserie si ipotizza un qualche collegamento di Jamie con gli “incel”, individui che sui social si autodefiniscono "celibi involontari" e attribuiscono il fatto di non riuscire a instaurare relazioni sentimentali o sessuali al loro non essere attraenti, sulla base di alcuni criteri ritenuti oggettivi e indipendenti dalla propria volontà. Questi pensieri impattano sull’idea stessa di mascolinità e in una fase delicata della crescita come quella del protagonista possono diventare esplosivi.
Le ripercussioni della vita online dei nostri ragazzi sul mondo reale sono potenzialmente pericolose proprio per l’intensità delle emozioni che ne scaturiscono, difficilmente mediabili con la vita fuori dalla rete, soprattutto quando il tempo trascorso sul web è eccessivo rispetto al tempo della vita reale.
Ma in Adolescence non sono soltanto i social a essere messi sotto la lente d’ingrandimento. Com’è la vita reale dei ragazzi? Come sono le relazioni degli adolescenti con i coetanei e con gli adulti? Viene voglia ai nostri figli di stare in questo mondo reale? Si sentono accolti e protetti quando escono di casa?
Jamie apparentemente è un ragazzo tranquillo, va bene a scuola, ha una famiglia presente che gli vuol bene. Poi andiamo a vedere la scuola e troviamo insegnanti distratti, stanchi, poco autorevoli e con modi aggressivi. Ci sono scambi verbali violenti, sia tra coetanei che dagli insegnanti verso i ragazzi. Utilizzando le parole dell’ispettrice di polizia, ci si chiede: “Come può venire voglia di insegnare o imparare qualcosa in un contesto del genere?”
La serie è ambientata in Gran Bretagna ma lo stesso potrebbe dirsi della scuola italiana, da troppi anni in crisi, con programmi scolastici articolati e ambiziosi che a volte, però, perdono di vista l’empatia e il benessere dei ragazzi. Un contesto frammentato, instabile e scarsamente retribuito che purtroppo non è di grande incentivo per gli insegnanti.
I dati sulla dispersione scolastica nel nostro Paese sottendono un disagio enorme: secondo uno studio di CGIA Mestre del 2024 basato su dati Eurostat e Istat oltre 430.000 ragazzi dopo la terza media ha scelto di lasciare gli studi.
E poi, ci sono i genitori.
Il padre di Jamie ha avuto un padre violento e si è ripromesso di essere diverso, più presente e comprensivo. Come lui, tanti genitori contemporanei cercano di prendere le distanze dai comportamenti educativi della propria famiglia d’origine.
Jamie richiede la presenza del padre al suo fianco durante l’interrogatorio iniziale e in tutte le procedure previste nei primi giorni di indagine. Il padre visiona il video che inchioda Jamie, ma spera sempre che possa non essere vero, anche di fronte all’evidenza. E’ devastato dal dolore e fatica a trovare delle relazioni in cui poter credere al di fuori della sua famiglia. Si chiede se avrebbe dovuto proteggere di più suo figlio, esserci in modo diverso.
Nel giorno del suo cinquantesimo compleanno riceve una telefonata di auguri da parte del figlio in carcere. Jamie si trova lì da tredici mesi e a breve ci sarà il processo.
Inaspettatamente, il figlio rivela al padre di aver deciso di dichiararsi colpevole durante il processo, perché sente che è la cosa migliore da fare. E’ proprio questa comunicazione che scioglie il padre in un crollo emotivo, disperato. Fino a quel momento, probabilmente, si era aggrappato alla speranza di una possibile riparazione al fatto con una pena non troppo grave per il figlio, ma la vera riparazione in una situazione così terribile passa solo dall’affrontare la realtà e su questo Jamie mostra coraggio.
Scaturisce allora inevitabile la domanda: in quanto adulti e genitori come possiamo porre un argine all’ondata violenta che colpisce i nostri giovani?
Il mondo digitale e social ci ha travolti tutti e non possiamo più farne a meno. Cerchiamo di non lasciare soli i nostri ragazzi davanti agli schermi per troppo tempo, proviamo a offrire delle alternative. Facciamo in modo che il mondo reale intorno a noi e ai nostri figli possa essere attrattivo. Creiamo luoghi di incontro, opportunità sportive, aggregative, di volontariato. Trasmettiamo fiducia e curiosità verso quello che c’è fuori da casa nostra.
Facciamoci incuriosire anche noi da ciò che fanno i nostri ragazzi online: che cosa li attrae maggiormente? che videogiochi prediligono? quali social? Ascoltiamoli. Per riuscire ad avvicinarci al loro mondo e provare a comprenderlo.
Persino noi adulti, spesso siamo intrappolati nella rete e abbiamo bisogno di creare legami con l’esterno.
Più riusciamo a instaurare un equilibrio tra dimensione online e dimensione reale, per noi e per i nostri ragazzi, più saremo capaci di arginare le spinte impulsive che altrimenti nella mente isolata rischiano di diventare esplosive e sfociare in atti irreparabili.
In Adolescence, non solo i genitori di Jamie, ma anche il pubblico si augura il lieto fine. Purtroppo, non accade. Di fronte al ragazzo c’è soltanto l’abisso.
Si prova una disperazione angosciante nel vedere il pianto finale del papà di Jamie nella cameretta del figlio: viene da pensare che probabilmente Jamie quella cameretta la rivedrà molti anni dopo. Troppi, per un ragazzo di soli 13 anni.
Dottoressa Marta Baschirotto
Psicologa e Psicoterapeuta ad orientamento psicodinamico transculturale, si occupa di clinica con bambini, adolescenti, giovani-adulti e genitori. Lavora da più di 20 anni a Milano, in contatto con diverse realtà pubbliche, scuole e privato sociale. Attualmente collabora con il Consultorio Familiare di viale Restelli, il Centro PsicoPedagogico operante con alcune scuole primarie e secondarie del Municipio 3 sostenuto dall’azienda Bracco e privatamente nel Centro Psicoterapia e Logopedia Niguarda, studio multidisciplinare dedicato principalmente a bambini, adolescenti e famiglie.
www.centropsicoterapianiguarda.org | CPP Bracco, sede di Milano