L’inclusione per i bambini molto piccoli significa iniziare a integrare l'altro nel proprio orizzonte percettivo. I bambini, infatti, devono prima imparare a percepire sé stessi e poi che esistono anche gli altri. Proprio perché il bambino molto piccolo sta cercando di “mettere a fuoco” la presenza di un altro bambino, non ne percepisce la diversità, ma si concentra piuttosto sugli aspetti di comunanza. Si tratta un processo molto graduale. A partire dai dodici mesi i bambini iniziano a osservare le azioni che vedono compiere intorno a loro e le imitano, giocano gli uni vicini agli altri ma non fra di loro.

Pian piano i bambini passano dalla fase possessiva (è mio! è mio!) ed egoriferita, in cui hanno la convinzione che tutto ciò che li circonda sia un prolungamento del loro essere e scoppiano continuamente in pianti disperati litigando con i coetanei per lo stesso giocattolo, a un periodo in cui incominciano a riconoscere l’altro, con le sue caratteristiche proprie, imparandone quindi ad apprezzarne l'alterità da sè, e di riflesso, quindi, anche la “diversità”.
Se non ci sono in famiglia o nella scuola d’infanzia dei modelli che istillano il pregiudizio, il bambino cresce in genere libero da condizionamenti fino alle scuole elementari. I bambini di quattro e cinque anni, pur avendo già una certa percezione delle differenze fisiche con i loro coetanei, non danno importanza ad esempio al fatto che la pelle di un compagno sia più scura della loro, ci giocano e basta. Eventuali “suggestioni” a questa età arrivano dagli adulti e da frasi che i bambini possono aver sentito a casa o a scuola, ma di cui non riescono ad afferrare appieno il significato.
Quando poi i bambini si avvicinano all’età scolare ed entrano nel ciclo della primaria, iniziano ad acquisire una certa consapevolezza e comprensione delle differenze fra gli individui. Anche la capacità di fare gruppo con i compagni aumenta, nel bene e nel male. Se un bambino è educato all’amore, difficilmente sarà portato a isolare un compagno che sente più fragile di lui. Purtroppo, però, lo stesso bambino, una volta inserito all’interno di un gruppo, può comportarsi in modo molto diverso, spesso solo per sentirsi a sua volta incluso in quel gruppo...
I bambini alle elementari già incominciano a rendersi conto della propria “diversità” (intesa come unicità) rispetto ai compagni e anche di quali sono le aspettative, le richieste della società nei propri confronti. Quando un elemento dominante del gruppo percepisce una discrepanza significativa fre le aspettative e la capacità di aderirvi da parte di un compagno o compagna, scatta la presa in giro bonaria, che nei casi più estremi diventa bullismo (a volte, grazie all’accesso precoce alla tecnologia, anche con le varianti “cyber”).
E’ quasi superfluo dire che l’attenzione da parte dei genitori e degli insegnanti qui deve essere massima. In ballo non c’è solo il benessere dei nostri figli a scuola: la mancata inclusione di un bambino all’interno della classe può avere delle conseguenze enormi sul suo equilibrio psicologico e sulla sua stabilità emotiva, con esiti in alcuni casi persino tragici. Leggi l'articolo sul bullismo e cyberbullismo che racconta la storia vera di Andrea Spezzacatena
In aggiunta a queste situazioni spontanee di stigmatizzazione, che devono essere considerate dalla scuola tutta con opportuna attenzione, a richiedere uno sforzo di inclusione da parte delle classi sono anche i casi di bisogni "particolari" certificati. La definizione più recente è “bambini con Bisogni Educativi Speciali (BES)", nei quali ricadono i bambini con Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA), ossia difficoltà in alcune abilità che riguardano l’apprendimento della lettura, della scrittura e delle competenze matematiche, i bambini plusdodati, gli allievi con disabilità, con disagi fisici o psichici, in situazioni di svantaggio e altri casi ancora. Qui l’inclusione è un compito istituzionalizzato, condiviso fra insegnanti e genitori. Per fortuna in questi casi i bambini in genere accettano di buola regola dell’inclusione imposta dalla famiglia e dalla scuola.
Ci vogliamo soffermare però su un caso specifico: l’inclusione dei bambini con disabilità. Tutto ciò che esula dall’ordinario porta i bambini a farsi delle domande e sarebbe utile e costruttivo rispondere con sincerità. Essere chiari e diretti, in famiglia, con i bambini sulle difficoltà reali del compagno o della compagna di classe portatore di disabilità, eviterebbe la creazione di pregiudizi dettati dall’ignoranza o dalla paura. Purtroppo, se c’è pregiudizio, magari aggravato dalla menzogna, il rischio di isolamento dell'alunno o alunna con disabilità in classe è altissimo. Gli insegnanti in questo caso occupano la posizione più delicata: quando i bambini disabili vengono trattati come un ostacolo al regolare svolgimento delle lezioni e non si crea una fattiva collaborazione con l’insegnante di sostegno, la missione dell’inclusione fallisce miseramente.
E quando in una classe capita che c’è un bambino con due mamme o due papà? Forse questo è uno dei temi legati all’inclusione più difficili da affrontare anche per gli adulti, di fronte al quale sopravvivono i pregiudizi più radicati, proprio perché si va a toccare uno dei principi cardine della nostra società: la famiglia. Alla fine, siamo tutti in qualche modo portati a pensare che un bambino con due genitori dello stesso sesso possa essere a rischio di problemi emotivi, psicologici o comportamentali. In realtà, molti studi ormai hanno dimostrato che i bambini con genitori dello stesso sesso non incorrono in difficoltà di sviluppo, di identità o relazionali maggiori rispetto a quelli che hanno i bambini nati in famiglie tradizionali... Piuttosto, è l’omofobia dell’ambiente esterno a creare eventualmente problemi a questi bambini…
Noi adulti abbiamo un ruolo fondamentale nella capacità dei nostri bambini di essere inclusivi. Dobbiamo impegnarci per educare i nostri figli ad evitare il pregiudizio e ad essere attenti a come si esprimono, perché le parole hanno un peso rilevante e possono ferire gli altri.
Se ci pensiamo bene, ognuno di noi ha bisogno di sentirsi incluso: nel suo ambiente di lavoro, sociale, familiare, amicale.
L’inclusione non è una questione di altri. Ci riguarda tutti. Continuamente. Siamo portati, forse per orgoglio, a credere di trovarci il più delle volte dalla parte di chi ha il potere di “includere”, ma per gli enormi pregiudizi che ci sono nella società, di ogni tipo e ad ogni livello, stiamo tutti dalla parte di chi aspira a essere incluso… e spesso non ne siamo neppure consapevoli.