LE NEURODIVERGENZE OGGI – Di Marta Baschirotto
Qualche giorno fa mi contatta la mamma di F., che ora ha 25 anni.
Ho conosciuto F. nel 2009, quando era un bambino di soli 9 anni; ai tempi lavoravo in un Ambulatorio pubblico di Neuropsichiatria Infantile e F. aveva concluso un ciclo di terapia logopedica. La collega logopedista aveva suggerito un supporto psicologico per F., che mostrava un carattere molto chiuso e riservato, da poco i genitori si erano separati e si intuivano segnali di sofferenza emotiva.
Ricordo ancora la rigida postura sulla sedia e lo sguardo serio e interlocutorio che F. aveva il primo giorno che ci siamo conosciuti. Durante il percorso psicologico F. è stato di poche parole ma mai fuori luogo, piano piano è riuscito a fidarsi... al punto che diversi anni dopo, durante la scuola superiore, decide – su suggerimento della madre – di tornare da me per problematiche di tipo emotivo-relazionale con i coetanei e a scuola. Ci siamo salutati a fine 2018.
Nel mezzo: la maggiore età, la scelta universitaria, il ripiego lavorativo e la pandemia, che F. ha vissuto senza difficoltà ma “arredando sempre di più il suo rifugio”.
Ora è molto sofferente, si sente perseguitato dagli sguardi degli altri, pensa che tutti lo giudichino, ha quindi un atteggiamento ancor più diffidente con tendenze a scoppi di rabbia. Non ha amici, non ha una relazione sentimentale, non ha progetti per il futuro.
Ha intrapreso un percorso psicologico online, per avere uno sguardo nuovo su di sé diventato più adulto. Tra i vari malesseri si è fatto spazio il dubbio di essere autistico. Da qui la decisione di contattare il CPS (Centro Psico Sociale) più vicino per richiedere una valutazione in merito, non prima però di aver sentito un mio parere, visto che l’ho conosciuto bene negli anni della crescita.
Si vergogna a contattarmi direttamente e chiede aiuto alla madre, con cui ho un rapporto di cordiale fiducia.
Una domanda della mamma mi gira in testa tra le mille parole scambiate: “Ma come mai non avete pensato che avesse una forma dello spettro autistico? Perché di recente lui ha fatto un test su Internet e sembrerebbe rientrare nei parametri…”
Leggendo quanto è accaduto con F., forse alcuni interrogativi sorgono spontanei.
Cosa è successo negli ultimi anni nella nostra società?
Perché ora si parla così tanto di neurodivergenze?
Che cosa sono le neurodivergenze?
Il termine neurodivergenze si riferisce a forme di funzionamento differente del cervello rispetto alla maggior parte della popolazione. Una persona nasce neurodivergente, ma riceve una diagnosi negli anni della crescita o talvolta in età adulta. L’ambiente e il contesto di vita possono influire in tal senso, in positivo o in negativo.
Esempi di neurodivergenze sono i disturbi dello spettro autistico, i disturbi specifici dell’apprendimento (dislessia, disortografia, disgrafia e discalculia) e l’ADHD (Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività).
Negli ultimi 15-20 anni la ricerca in merito si è fatta più approfondita e raffinata, individuando per ciascun disturbo un livello di intensità in cui esso stesso si manifesta. Neurodivergenze di livello più lieve sono più difficili da rilevare, al contrario quelle di livello più severo hanno sintomatologia più definita e inequivocabile.
Nel 2010 i disturbi specifici dell’apprendimento sono stati tutelati da una legge, la 170, che garantisce il diritto allo studio attraverso la stesura del cosiddetto Piano Didattico Personalizzato (PDP) per coloro che hanno ricevuto una diagnosi di questo tipo.
Questa legge ha rappresentato una vera e propria rivoluzione all’interno del mondo scolastico: gli insegnanti si sono dovuti aggiornare a livello formativo per poter accogliere e includere al meglio gli studenti con queste difficoltà.
La legge ha permesso anche di diffondere cultura sul tema: se ne è parlato maggiormente e sempre più persone hanno iniziato a informarsi e a prendere sul serio l’argomento.
Negli stessi anni l’esplosione di Internet e degli strumenti digitali hanno reso più accessibili i contenuti sulle neurodivergenze. Iniziare a documentarsi sul web è stato un passaggio naturale per i genitori e per tutte le persone interessate, ma questo non sempre è stato un bene. Arriviamo così al giorno d’oggi, in cui addirittura, attraverso l’intelligenza artificiale e la vastità di informazioni disponibili per chiunque, le persone tendono a fare “auto-diagnosi”. Negli studi clinici spesso ci si presenta con richieste ben specifiche sul poter fare determinati test, conoscendo già il nome del test richiesto.
Rosalba Terranova Cecchini, psichiatra che ha lavorato per lunghi periodi nei Paesi in via di Sviluppo e in territorio milanese ha partecipato attivamente alla chiusura dei manicomi, amava ripetere una frase che nella sua semplicità dice tutto: “Ognuno di noi è unico e irripetibile”. Proprio qui risiede l’enorme sfida del comprendere chi sia l’altro a cui ci relazioniamo, sia esso un familiare, un amico o un conoscente.
Viviamo un’epoca in cui gli strumenti digitali e i social network hanno semplificato e appiattito il modo di pensare e omologato le differenze, nonostante l’iperinformazione in essi presente o forse proprio in conseguenza di essa.
Questa tendenza crescente ad approfondire eventuali neurodivergenze probabilmente risponde al bisogno, più profondo, del capire come funzioniamo e come possiamo vivere al meglio in relazione al mondo contemporaneo e agli altri. Una sorta di contraltare all’omologazione imperante creata da tecnologie sempre più pervasive e onnipresenti.
Talvolta, inoltre, la diagnosi che ha ricevuto il figlio o la figlia pone dubbi anche sul funzionamento del genitore, che può ritrovarsi in alcuni aspetti: sempre più adulti ultimamente stanno richiedendo valutazioni per sospetto ADHD per loro stessi.
L’etichetta diagnostica in taluni casi può essere vista come chiave di accesso per migliorare la sintonizzazione con i propri figli e la relazione educativa con loro.
La ricerca, i test e gli iter valutativi sono in continuo perfezionamento e possono certamente rispondere anche a questo tipo di dubbi o domande.
Avere degli strumenti a disposizione per comprendere l’unicità di ciascun essere umano è qualcosa di prezioso e necessario che aiuta a introdurre opportune strategie in grado di apportare benessere e qualità di vita.
Tornando a F., ho suggerito alla madre di intraprendere un percorso di valutazione al CPS che possa dare risposte su chi sia F. oggi e su che forma abbia la sua sofferenza.
Questo può essere solo l’inizio per F. per individuare la strada più opportuna verso un recupero della fiducia di sé e degli altri e poter avere una prospettiva sul proprio percorso di vita.
Non ci sono diagnosi prestabilite. Il percorso di F. è tutto da scrivere e cosa ne verrà fuori dipende soprattutto da lui.
DOTTORESSA MARTA BASCHIROTTO
Psicologa e Psicoterapeuta ad orientamento psicodinamico transculturale, si occupa di clinica con bambini, adolescenti, giovani-adulti e genitori. Lavora da più di 20 anni a Milano, in contatto con diverse realtà pubbliche, scuole e privato sociale. Attualmente collabora con il Consultorio Familiare di viale Restelli, il Centro PsicoPedagogico operante con alcune scuole primarie e secondarie del Municipio 3 sostenuto dall’azienda Bracco e privatamente nel Centro Psicoterapia e Logopedia Niguarda, studio multidisciplinare dedicato principalmente a bambini, adolescenti e famiglie.
www.centropsicoterapianiguarda.org | CPP Bracco, sede di Milano