“La nona arte”, così vennero chiamati i fumetti nella classificazione delle arti fatta dal critico francese Claude Beylie nel 1964. Al di là della definizione, ancora oggi non tutti pensano che i fumetti siano un’arte e, soprattutto, che siano degni di essere tutelati come patrimonio culturale. E, per quanto i comics siano sempre più apprezzati come genere anche da lettori “colti” e non solo dai ragazzini grazie al loro linguaggio sintetico e immediato che ben si adatta alla nostra società in continuo movimento, proprio in questi ultimi giorni abbiamo assistito a una spiacevole diatriba fra il Governo e Wow Spazio Fumetto di Milano che verte proprio sul tema del fumetto in quanto “bene culturale”.

Secondo Umberto Eco la cultura popolare sale dal basso, mentre i fumetti sono un prodotto industriale di massa commissionato dall’alto, con l’intento pedagogico di ribadire i miti e i valori vigenti in un dato sistema sociale. Il filosofo ne parlò per la prima volta nel suo famoso saggio del 1964 Apocalittici e Integrati, definendoli appunto arte, e citando certi fumetti americani di quel periodo come una sorta di operazione propagandistica di alcuni aspetti del sistema sociale statunitense. A proposito dei Peanuts, arrivò addirittura a parlare di "poesia", indicando il modo in cui i protagonisti del fumetto di Schulz incarnano con innocente candore le nevrosi della civiltà industriale ed esorcizzano con la loro psicologia e il loro agire da bambini i problemi degli adulti.
Il dibattito sul tema è continuato nel tempo con altri studiosi e, anche se le "strisce" grazie ad autori e disegnatori famosi come Bonelli, Jacovitti, Pratt, e ancora Quino, Groening, Crepax, Bozzetto... hanno acquisito uno standing sempre maggiore nell’ambito della cultura “alta”, detrattori del fumetto ce ne sono ancora tanti, purtroppo.
A un lettore di fumetti, alla fine poco cambia se Spiderman o Dylan Dog, giusto per citare un paio di classici, siano considerati arte o meno… E il discorso sembrerebbe a una prima analisi del tutto teorico, ma non lo è. Lo dimostra il fatto che il Museo del Fumetto di Milano sia stato in questi giorni definito dal Ministero dei Beni Culturali e del Turismo “luogo privo di beni culturali” e per questo motivo si sia visto negare gli aiuti per il Covid. Una questione molto concreta, quindi.
Se un luogo come il Museo del Fumetto di Milano chiude perché non è ritenuto meritevole di tutela, chi ne fa le spese? Tutti gli appassionati di fumetti, ma anche le famiglie con bambini che non possono più avere la gioia di assistere a mostre uniche come Amazing o Hero Bricks, i bambini e i ragazzi che non partecipano ai corsi per imparare a disegnare i fumetti e i più piccolini che non hanno accesso ai bellissimi laboratori del weekend a loro dedicati…
Per fortuna, il Ministro Franceschini ha subito rettificato che si è trattato di un errore:
"Un errore di interpretazione degli uffici che correggeremo subito. I fumetti sono arte e il MiBACT in questi anni ha sempre lavorato per valorizzarli."
Meno male! A volte una definizione può fare la differenza.